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Nota

(scritta da qualcuno due mesi dopo)

Cosa abbiamo fatto in quella mezz’ora di tempo a Marsciano tra le 11.20 e le 11.50 del 19 agosto 2020?  Intimità tra estranei, leggo questa frase qualche giorno prima di partire per Marsciano, una bella cittadina umbra.  È un gioco di intimità fra estranei, quello che abbiamo fatto, un gioco libero, non ci sono regole, sei tu e il fuori, tutto può succedere. Per caso. Lasciando aperto.

In questi giorni ho letto un racconto di Antonio Tabucchi Voci portate da qualcosa, impossibile dire cosa. Per caso.

È un gioco strano la briscola a cinque, partecipa del caso e dell’astuzia, è un po’ come il tuo gioco con le parole, bisogna scegliere tra le carte che il caso ti attribuisce e grazie a quelle indovinare il tuo complice, perché hai un complice e bisogna indovinarlo tra quattro possibili complici, bisogna affidarsi alla sorte e all’intuito.

Chi è il nostro complice o i nostri complici in questo gioco?

Un fischiettio dietro l’angolo, la forma di una pozza, l’odore di vernice misto a quello di umidità (è la cosa che ti ricordi meglio della casa dove sei nata e dove hai vissuto i primi tre anni della tua vita). Ti immagini che siano loro a trovarti. La città si fa sconfinata, prende altre forme, anche tu sei diversa, sei più di una, i ricordi si mescolano, lì dove sei con altri dove. Cosa può accadere. Che storia racconteremo. Dentro e fuori, raccogliere-collezionare-comporre, fare attenzione, convivere, conoscere. La storia di una mezz’ora di esplorazione a Marsciano, verso l’ora di pranzo.

 

Il gioco

30 minuti di esplorazione libera di Marsciano

Indicazioni:

Ogni partecipante gioca da solo (se farai attenzione troverai nuovi compagni durante il gioco).

Per i primi 5 minuti cammina a velocità sostenuta e gira 2 volte a destra e 2 volte a sinistra.

Continua così fino a che non sono passati i 5 minuti.

Trascorso il tempo fermati e comincia a esplorare dove ti trovi.

Registra e prendi nota dell’esperienza e delle scoperte in qualsiasi modo tu desideri (lascia che anche questa sia un’esplorazione)

Marco Cappellano

( 01 )

Il vecchio molino popolare di Marsciano. Abbastanza decadente, abbastanza lettere rimaste sulla facciata per ricordarsi chiaramente il nome.
Strada principale e leggero vento, si muove al ritmo delle auto che passano, rallentando o ripartendo da una rotonda.
Fluire senza fermarsi, non fermarti ad osservare. Non perdere tempo a curiosare ciò che non ti riguarda.
L’ odore è incerto, sotto l’ ombra di un piccolo albero, accanto a frutti caduti e bidoni dell’ immondizia.
Un odore lievemente pungente di immondizia copre il probabile odore di asfalto e pneumatici e carburante.
Un cielo blu, terso. A parte, una nuvola compatta quasi nascosta tra un edificio ed un cespuglio.
Lieve fischio di freni.

Elena Fioretti

( 02 )

La via è dritta e la svolta a sinistra è lontana.
Un posto che  non mi piace. Sarei voluta andare a destra.
Nascosto, da scoprire.
In basso un parcheggio semplicissimo ma, appena alzo lo sguardo
<<Dove andate?>> 
<< In montagna>> 

  <<Buon divertimento!>>
 Un cancello che si chiude.
 In alto, noto un cielo spettacolare e in lontananza un bellissimo paesaggio.
 <<Ci passi?>>                                                                         

<<Sì>>
Mi sento estranea, intrusa, ho paura che da un momento all’altro mi dicano: “Cosa stai facendo?”
Wroooom –macchina che mi sfiora-
Puzza di benzina.
In basso prigioniera, in alto libera. Una facciata con moltissime piante e fiori mi attrae.
“E se provassi a portare con me un ricordo?” 
Mi sento una ladra.
 Suoneria: <<Pronto!>> 
Provo ad ascoltare gli uccellini ma il paese vive ed è normale. Improvviso silenzio, pace. Un attimo che dura un’eternità.
Tazzine che sbattono. 
Mozziconi di sigarette, un tappo blu.
La presenza dell’essere umano è ingombrante e io vorrei essere piccola piccola per esplorare senza essere vista.  
Rumore di passi…. È ora di andare.
Prendo lui, il più nascosto… il più bello e lo porto con me.

Gian Paolo Valentini

( 03 )

destra destra sinistra sinistra

cammino

è come la vita che ti mette davanti delle svolte e ti perdi e poi è difficile ritrovare la strada

cammino

destra destra sinistra sinistra

vie macchine alberi portoni maniglie numeri civici finestre

destra destra sinistra sinistra

cammino

pietre mattoni pietra bianca rossa

odore di cibo sugo per la pasta penso

guardo a terra

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mare

di mattoni

a lisca di pesce

una volta la piazza del comune di Morrovalle era così, ma poi il sale li ha rovinati

era il mio primo anno da netturbino

ne sono passati di anni

veloci come le macchine che passano

e adesso Elena mia moglie

e la mia professione

quale

coi tempi che corrono

"ahooo"

un uomo passa con la spesa o era il sacchetto blu

da noi è il blu per la plastica e il metallo

sono tornato a fare il netturbino

la via è abbastanza pulita

 

"ahooo" o "ciaooo"

macchina

una cosa bianca piccola corre spostata dal venticello una piuma o qualcos'altro che vaga senza meta

destra destra sinistra sinistra

macchina

mi devo spostare

è il destino che sceglie per me

destra destra sinistra sinistra

inferriate

il destino ci costringe? ci ingabbia?

finestra aperta con tenda svolazzante

"chi c'è sopra?"

"io"

"un colpo quanta gente"

secco residuo

no assorbenti igienici

questo non puoi farlo

lì non puoi andare

è vietato

ti devi mettere

lo cancello

no l'ho pensato

ti devi mettere la mascherina e pensare che a carnevale da piccolo

macchina

da piccolo mi piaceva portare la maschera

forse è per quello che mi piace fare l'attore

indossare sempre nuovi panni nuove identità dove c'è un copione già scritto  dove so già dove devo andare per dove devo andare

cazzeggio

cito anche quanti siete dove andate che portate sì ma quanti siete un fiorino

la sveglia suona è ora di tornare alla vita

destra destra sinistra sinistra

Sara Fallani

( 04 )

Un trivio. È la prima cosa che penso: sono arrivata a un trivio.

Strida di macchinari - seghe, pialle? - Provenienti dalle pance delle palazzine nuove e vecchie.  Il suono si spande diventa circolare -potrei essere circondata - Circondata da mostri sotterranei di metallo che urlano e sputano polvere e scintille dietro le saracinesche mezze abbassate e i portoni socchiusi con i vetri opachi.

Avevo letto qualcosa sul trivio. A Firenze ce n’è uno che è diventato una minuscola piazza, si chiama il Trebbio. Un crocevia di molti passaggi, provenienti da tre angoli di mondo diversi, sempre differente.

Sono in un trivio adesso? Non scelgo nessuna via. Questo però è proprio un trivio tranquillo.

Le macchine urlatrici adesso ronzano non sono più minacciose. Ma tutto è immobile.

Delle tante finestre molte sono chiuse. È agosto, la gente è in vacanza, o è sempre così qui?

Splende la parete davanti a me gialla di vernice e di sole. Soltanto si agita da una terrazza un luminoso lenzuolo bianco e saltella leggero un guanto di plastica sull’asfalto.

Ho poco tempo.

Finalmente una voce umana, ma è minacciosa quasi quanto quella delle macchine urlatrici.

“È troppo bella la mia macchina?”

“Come?”

“Dico, la mia macchina deve essere troppo bella se fai la foto”

Ha un accento straniero, si rivolge a me in modo canzonatorio, ma è chiaramente insospettita dal mio comportamento.

“No la sua macchina non mi piace” rispondo prontamente con un grande sorriso presa in realtà dall’imbarazzo, e mi imbarazzo ancora di più quando mi rendo conto di aver praticamente detto che la sua macchina è brutta. Perché mi agito sempre così tanto in pubblico? non posso rispondere con calma che sto facendo fotografie invece di sentirmi sempre fuori luogo?

Mi agito, aggiungo che la macchina non mi interessa, ma la strada sì, perché è molto pittoresca e comincio a scattare foto per dimostrare il mio interesse puramente estetico nello scorcio. In realtà stavo cercando di fotografare il guanto di plastica saltellante che, evidentemente, essendo molto vicino alla macchina, lei ha immaginato che stessi fotografando quella.

 Dunque, mi sono imbarazzata perché stavo fotografando un guanto per terra? È questo il motivo? Ho pensato che mi avrebbe giudicata per quell’azione sicuramente ridicola ai suoi occhi?

 Ho diretto il mio obiettivo verso la più convenzionale torre medievale che svettava tra le case e ai sempre fotografabili fiori.

Perché reputo il suo giudizio così importante se neanche mi conosce? -Rifletto oggi-

Se ne va con la sua macchina brutta grigia metallizzata.

Intanto le macchine si sono calmate, il rumore adesso è più lento ripetitivo manuale, di un arnese che sfrega contro il legno.

Rivolgo lo sguardo sopra lo spazio vuoto che la macchina lascia andandosene, adesso attirato da un movimento più ampio.  Il lenzuolo bianco si dimena delicatamente.

Rivedo le donne che vanno a stendere il bucato lungo il sentiero verso il bosco. Un lungo filare tra il sentiero, i campi e i rovi di more, zeppo di panni di tutti i colori. Ho 8 o 9 anni e divertita curioso l’abbigliamento e le lenzuola degli abitanti del paesino, mentre mia nonna stende il nostro bucato. È facile confondere i panni, ogni tanto succede che nel cassetto trovo dei calzini di qualche mia amica. Sono buffe le corse per ritirare i panni quando comincia la pioggia improvvisa o si avvicina un nuvolone minaccioso: corrono le nonne con la busta in testa per proteggere la cofana riccioluta e a volte persino i mariti e i nipoti magari reggendo l’ombrello rincorrendole.

Era un bel paese, abitato solo da nonni e nipoti.

Finisce il tempo e ritorno indietro.

Le strade erano due, via Cavour e via Piave.

Elena De carolis

( 05 )

Cammina veloce, svolta due volte a destra, due volte a sinistra e, dopo cinque minuti, fermati dove ti trovi. Guardati intorno, respira. Dove sei?

Sorpresa. Da una piazza mi trovo in un piccolo vicolo, stretto. Sorpresa.

Sono contenta che il caso mi abbia portato proprio qui.

Cerco il nome, non lo trovo.

 

IL VICOLO SENZA NOME

Guardo avanti.  La strada sale un po’, si vede una piccola striscia di cielo che spunta dai tetti delle case, che quasi si toccano.

Guardo avanti. Dalla piazza, da dove sono arrivata, si sentono le macchine passare. Pian piano che mi addentro il rumore di macchine sparisce, per un attimo il silenzio. Poi una radio accesa. Mi giro alla mia sinistra, dentro a una finestra aperta vedo un uomo, un ufficio tutto bianco, un po’ trasandato. Io guardo dentro, lui mi guarda e io mi sento un’intrusa, come se stessi sbirciando dentro casa sua. Aumento il passo e, colpevole, mi allontano. Da quella finestra aperta la radio continua a suonare.

Guardo avanti. Improvvisamente, alla mia destra, si apre un piccolo spiazzo, delle scale, degli alberi verdi. Mi avvicino. Per un attimo, in quel preciso punto, il rumore della radio svanisce. Sento gli uccellini cantare. Un vento leggero mi muove leggermente i capelli. Cade qualche foglia.

E allora lo riconosco quel posto. Ci siamo passati la sera prima, quando cercavamo di trovare la strada dalla casa dove dormivamo alla scuola. Ci siamo addentrati in queste scale in mezzo agli alberi, che a un certo punto salendo sembravano abbandonate, i rami ci tagliavano la strada, e poi, come per incanto sbuchiamo in quello stesso vicolo. Quel vicolo senza nome che io la sera prima non avevo proprio notato, ci ero passata così, senza farci caso. A fianco delle scale, un muretto. Mi affaccio. Sorpresa. Dietro gli alberi, giù in fondo, mi si apre una vista inaspettata. Un grande parcheggio. Un centro commerciale un po’ trasandato. Sorpresa. Mi aspettavo una vista diversa, quasi mi infastidisce. Avvicinandomi alle scale il rumore delle macchine si fa più forte. Fastidio.

Torno indietro. E mi siedo un attimo su una panchina di legno, in quel preciso punto. Dove si sente il vento leggero, il canto degli uccellini, le foglie che cadono e il sole. Respiro. So di non avere molto tempo. Ho solo mezz’ora. Guardo avanti, mi reimmetto nel vicolo e cammino. Ora la strada scende un po’. Arrivo fino in fondo. Sorpresa. Alla mia destra si apre un passaggio segreto, un androne, che porta a una strada dove vedo passare le macchine. Mi giro e vedo il vicolo da una prospettiva totalmente diversa. Vado sotto l’androne e poi comincio a fare in su e in giù cercando di cogliere particolari, sensazioni, odori, rumori, catturando immagini.

 

Tre prospettive

La vista da qui è più interessante

Macchine che passano

Fiori disegnati

Voci

Una radio che suona

Un vicolo senza nome

Strati del tempo

Ruvido, sabbioso

Il nuovo e il vecchio

Cambia la consistenza

Tracce di un passato lontano

Parole in latino

Tracce di un passato più vicino

Scolorito, ammuffito, abbandonato

Ragnatele, foglie secche, che si muovono con un po’ di vento

Polvere

Sotto l ‘apparenza, polvere

Alzo gli occhi al cielo

Una fila di vasi vuoti perfettamente ordinati

Silenzio, piante curate, rampicanti da una finestra

Solo in un punto, uccellini

La consistenza dei mattoni, l’incanalatura di cemento tra un mattone e l’altro

Pietre, che alla vista sembrano spigolose, al tatto sono lisce, fresche, morbide

Gli occhi a volte mentono

Una pietra più scura, più ruvida

Superfici sporche, che non ti viene voglia di toccare

Ogni pezzettino di muro ha una consistenza diversa

Per un attimo odore di carne arrosto

Ricordo dei pranzi della domenica

Vorrei assaggiare

Odore di carne arrosto. Ritorna davanti a una finestra abbandonata. Da dove viene?

Una porta che sembra abbandonata

Dalle fessure si intravede qualcosa

dentro c’è un uomo anziano che lavora, dal rumore sembra legno

Gli occhi a volte mentono

Scritte sui muri

“Ti amo da morire”

“lowlow”

Finestre rotte

Porte segrete

Bidoni della spazzatura

Guardo l’ora.

Il tempo è scaduto di già.

Corro via.

Giulio Di Salvo

( 06 )

Passo dopo passo non so dove finirò, cammino sorpassando le poste e una fila di alberi  arrivando in un luogo in cui non sono mai stato ma che per qualche motivo mi risulta familiare.
Salta subito all’occhio una grande bandiera francese sul balcone del quarto piano di una casa.

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Nel palazzo accanto ce n’è una italiana, un po’ più piccola.

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La via è molto silenziosa e  i rumori che si percepiscono maggiormente sono il suono di cicale ed il rumore costante di un tagliaerba, che viene dai giardini vicini.

Si sente il suono di poche macchine che passano a intervalli regolari, è tutto molto tranquillo, qualcuno sta apparecchiando per il pranzo. Vedo piante che crescono nel cemento e agli angoli delle strade, sotto i cartelli stradali, un cancello tra le foglie.

Un gatto tigrato che mi ricorda il mio si nasconde sotto una macchina, mi fermo a fissarlo.Qualche passante mi guarda in maniera stranita mentre sono seduto per terra sul marciapiede a scrivere queste righe.

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